“ Fabbricante di Lacrime  ” – Recensione. Disponibile su Netflix dal 5 Aprile 2024

3 Apr, 2024

Tra le mura del Grave, l’orfanotrofio in cui Nica è cresciuta, si racconta da sempre una leggenda: quella del Fabbricante di Lacrime, un misterioso artigiano, colpevole di aver forgiato tutte le paure e le angosce che abitano il cuore degli uomini. Ma a diciassette anni per Nica è giunto il momento di lasciarsi alle spalle le favole. Il suo sogno più grande, sta per avverarsi: i coniugi Milligan hanno avviato le pratiche per l’adozione e sono pronti a donarle la famiglia che ha sempre desiderato. Nella nuova casa, però, Nica non è da sola. Insieme a lei viene portato via dal Grave anche Rigel, un orfano inquieto e misterioso, l’ultima persona al mondo che Nica desidererebbe come fratello adottivo. I loro differenti modi di combattere il dolore saranno destinati a diventare l’una per l’altro proprio quel Fabbricante di Lacrime della leggenda.

 

Il film vacilla in maniera molto pericolosa tra l’essere ridicolo o struggente perché il suo intento è chiaro. Andare ad attirare a sé tutti quei fan ormai orfani di storie melodrammatiche con più o meno sfondo fantasy. Stiamo ovviamente parlando di quella fan base che ha amato “Twilight” ma anche “50 Sfumature di Grigio” per aspetti molto differenti tra loro.

 

Ovviamente il film non si nasconde e anzi fa di citazioni e rimandi il suo punto focale su cui puntare l’attenzione aggiungendo tutto quel comparto di comprimari stereotipati e classici che vanno da istitutrici crudeli, la saputella della scuola, lo studente popolare e cosi via. Ovviamente su tutto quanto primeggiano i due protagonisti che risultano scritti in maniera approssimata con pochissimi differenziazioni da quelle che ci aspettiamo e che non fanno altro che ribadirlo a ogni frase, ogni risvolto e ogni sguardo.

 

Certo il materiale di partenza era già basso di suo ma se poi si aggiunge il fatto che gli attori scelti per interpretarli, Simone Baldasseroni e Caterina Ferioli, non riescono proprio a convincere sotto molteplici aspetti quali la dizione, il voler ricalcare modelli già conosciuti o forzature nell’esprimere i sentimenti. Sbagliare tale scelta in un film che in maniera (poco) sotto intesa punta proprio sul creare un legame con i fan del materiale originale magari spingendo su attori che potrebbero diventare star è il peggiore dei “delitti”.

 

L’autrice Erin Doom nel suo romanzo mette in scena sentimenti buoni e onesti quali la gentilezza cercando di far passare il messaggio che bisogna contrastare gli insensibili e chi si disinteressa dei deboli.

 

Tutto molto lodevole e forse sulla carta anche ben riuscito (i numeri delle vendite non mentono) ma la trasposizione in un lungometraggio non è qualcosa di così facile e serve un lavoro ben accurato che non può esaurirsi nel semplice e preciso passaggio delle pagine scritte a film.

 

Andrea Arcuri