Povere creature di Alasdair Gray. Recensione

1 Mar, 2024

Coinvolto moltissimo dal grande #hype nato a proposito del film (che non ho visto, che avrei voluto vedere e che non so se vedrò) mi sono catapultato sul libro. Sono di quelli che, nel confronto tra carta stampata e pellicola, dichiaro vincitrice la carta con percentuali bulgare.

Però, dopo aver concluso la lettura non so quanto potrei esserne sicuro…

Il preambolo risulta curioso per come si presenta perché sembra di essere in una trama che abbia preso spunto da Frankenstein ma che poi abbia intrapreso un percorso di sviluppo molto diverso ed originale.

Solo che circa a un terzo l’autore decide di spostare la prospettiva di narrazione trasformando la sua materia in una sorta di romanzo epistolare. Si susseguono due lettere lunghissime che informano sul modo in cui la storia ha deciso di evolvere. Il problema è che questa soluzione risulta assolutamente verbosa. L’effetto delle prime pagine si annacqua; il libro, che non è un tomo gigante ma ha comunque una sua fisicità, inizia a diventare pesante da tenere in mano. Finisce per riprendersi un po’ nella parte finale.

Risulta invece poco chiara l’appendice.

Sembra che l’autore volesse in qualche modo ricalcare le orme di una “Coscienza di Zeno” se non addirittura la lezione di un Pirandello riguardo la #verità che non può più come #una_e_integra.

Questa doppia faccia della vicenda dovrebbe creare dubbi ed incertezze sulle azioni e sui personaggi. Dovrebbe spostare in continuazione il punto di vista di chi legge da una parte e dall’altra in una sorta di #loop.

Boh, a me pare di essere lo stesso di quando avevo preso in mano il libro.

Invece, le domande che mi pongo sono altre e sul film, mica sul romanzo.

Mi chiedo se sia il caso di andarlo a vedere o passare oltre. Mi chiedo se la resa delle parti cosiddette #verbose sia meno opprimente. Mi chiedo se il regista (Yorgos Lanthimos, ndr) si sia attenuto pedissequamente al libro o se invece abbia fornito una sua interpretazione alla cosa.

Nel dubbio…

 

Enrico Redaelli per GlobalStorytelling