“Secret Love” – Recensione in Anteprima. Al Cinema dal 20 Luglio 2022

19 Lug, 2022

Il giorno di festa in questione è il mothering day, ricorrenza inglese di moda negli anni venti, nella quale le famiglie abbienti permettevano alla loro servitù una giornata di vacanza per riabbracciare la propria famiglia ma soprattutto la propria madre.

Adattamento, si diceva, perché la regista si prende alcune libertà dalla narrazione di Swift, utilizzando non sempre al meglio le carte a disposizione.

La pellicola si gioca tutta tra andirivieni temporali e dettagli estetizzanti particolarmente riusciti, cadenzati da un ritmo molto lento (a volte un po’ troppo) per far assaporare meglio sfumature cromatiche connesse a situazioni specifiche.

Se il mothering day a cui fa riferimento il titolo originale permette di capire che una parte della vicenda si ambienta nel 1924, non è facile invece collocare cronologicamente i blocchi successivi.

Jane Fairchild (l’attrice Odessa Young, in alcune scene sembra essere connotata come una bellezza preraffaellita) è il personaggio su cui ruota tutta la storia. La seguiamo attraverso le sue vicende amorose clandestine ma anche per mezzo di quelle vissute alla luce del sole. Nella parte più recente del suo percorso sentimentale compare Donald (l’attore Sope Dirisu) caratterizzato però da elementi un po’ troppo contemporanei che stridono nel complesso degli ingredienti che compongono il film.

Globalmente, il plot si esprime su corde sentimentali che potrebbero richiedere anche la necessità di qualche fazzoletto di carta, ma senza cadere in eccessi melodrammatici.

Un cenno va sicuramente all’estrema cura e alla riproduzione degli interni e degli abiti degli attori quando la trama è ancora nel 1924. Senza scopiazzature, le atmosfere potrebbero ricordare quella della famosa serie televisiva [Downtown Abbey].

Nel cast spicca un ineccepibile Colin Firth, perfetto nella parte dell’altolocato padre di famiglia inglese degli anni venti.

Dimentico sempre di dire che a queste anteprime si gode di un aspetto importante, ossia di fruire il film in lingua originale. E’ vero, in Italia abbiamo un doppiaggio di altissimo livello e con competenze a volte inarrivabili. Ma una recitazione nell’idioma originale del cast è insostituibile. Lo dico, perché in quest’occasione c’è un bellissimo cameo di Glenda Jackson e poter ascoltare il suo accento ‘british’ è davvero un regalo.

C’è forma, ma c’è anche sostanza, anche se, di quest’ultima, poteva essercene di più.

 

Enrico Redaelli per GlobalStorytelling