Il grembo paterno – Chiara Gamberale. Recensione

27 Nov, 2021

Il grembo paterno – Chiara Gamberale. Recensione

Pur avendone sentito parlare bene in diverse occasioni, non ho mai avuto occasione di prendere in mano un suo libro. Capita, a volte, con alcuni nomi della nostra letteratura contemporanea, che ci si dica che prima o poi verranno approfonditi e alla fine si rimane al punto di partenza.

E pensare che Gamberale non è di quelle penne ostiche alla lettura. Per quanto ne sappia, si è sempre preoccupata di narrare e analizzare momenti di pura quotidianità, creando in chi legge ampi margini per potersi immedesimare.

E anche in questo caso l’autrice non si smentisce, avendo creato un piccolo gioiello di realtà.

Tutto gira intorno ad Adele che, attraverso un parallelismo tra flashback e momento presente racconta se stessa. E’ come vedere lo stesso personaggio percorrere due tracciati opposti che alla fine confluiranno in unico punto. Dovrebbe essere un itinerario, con la mente e con il corpo, verso una ricostruzione del proprio io interiore, se possibile anche con qualche piccolo risarcimento che non guasta.

Attraverso una serie di quadri, i ricordi di Adele affiorano per delineare come l’ambiente domestico, privo di quella serenità e stabilità di affetti, abbia influito sulla sua psiche, indebolendola e, per certi aspetti inaridendola.

Questi ricordi si intersecano con il presente della narrazione, dove Adele affronta il suo cammino verso una dimensione più umana di affetti e di interrelazioni con i suoi simili. La presenza di sua figlia Frida in questo importante viaggio non è da sottovalutare, anche perché è con lei che cerca di mettere in piedi una parvenza di nucleo familiare.

A proposito di sentimenti, indistintamente a donne e uomini capitano quelle situazioni che già all’inizio illuminano su come andranno a finire, eppure ci si sbatte il muso lo stesso solo perché le si vuole vivere fino in fondo, nella speranza che il finale possa essere sorprendente e non confermare la prevedibilità di tutto un contesto in cui si è agito.

“Attanasio, cavallo vanesio” cantava epoche fa Renato Rascel. Qui non si parla né di cavalli, né di Rascel. Nemmeno immagino che la scrittrice abbia scelto apposta di fare questo riferimento alla canzone del famoso artista romano, però in qualche modo ci azzecca. Logicamente, questa riflessione risulta più chiara nel momento in cui il libro sarà stato ultimato…

In un’epoca in cui dominano certi stereotipi di genere, non dico che “Il grembo materno” sia la risposta per risolvere la questione.

La lettura, di sicuro, può essere utile per non ingenerarne altri.
 

Enrico Redaelli per GlobalStorytelling