I cani del nulla – Emanuele Trevi. Recensione

26 Lug, 2021

I cani del nulla – Emanuele Trevi. Recensione

 

Non sono di quelli che ha esultato alla sua vittoria al recente Premio Strega. All’indomani della consacrazione, però, ho letto alcune sue dichiarazioni che me lo hanno posto sotto una luce più vicina al mio modo di pensare. Questo mi ha fatto incuriosire. Per questo ho deciso di leggere un altro suo libro…

Ebbene, non sono rimasto entusiasta nemmeno stavolta. Non sono un assiduo frequentatore di Trevi, ma il sapore che rimane dopo “I cani” è un mix sbilanciato di sensazioni.

In certi passaggi, mi ha ricordato lo stile di Carrère. Per chi non lo sapesse, l’autore francese esaurisce a pagina 7 (o 8) dei suoi libri l’argomento del titolo. Dopodiché trova un aggancio logico e inizia bellamente a parlare di affari suoi molto personali. Il divertente è che lo fa coinvolgendo in qualche modo chi legge, al punto che alla fine il risultato piace pure parecchio.

Non so se Trevi avesse in mente Carrère, né so se abbia mai letto qualcosa del francese. Ma qui l’esito non ipnotizza, non ‘acchiappa’. Partendo dall’esperienza personale con Gina, “avanzo di canile municipale” (cit.), Trevi spazia per molteplici ambiti senza creare, a mio modesto parere, empatia utile ad apprezzare l’opera nel suo complesso o i vissuti quotidiani con l’animale. Spesso, il testo presenta alcune ampie divagazioni che distolgono attenzione ed interesse. L’apice di questo sta nell’ultimo capitolo, ricco di dissertazioni per ‘iniziati’, che presenta legami molto deboli con il resto.

Un ultimo aspetto riguarda la scelta lessicale.

Non mi sembra di essere una persona pudica o che voglia fare moralismi di sorta. Mi accorgo, infatti, che “I cani da nulla” presenta in più punti parolacce e argomenti volutamente scabrosi. La volgarità, se usata in modo accessorio, non mi dà fastidio. Se invece risulta solo fine a se stessa, toglie valore all’insieme. Perché Trevi sembra compiacersi di questo stratagemma, facendomi ricordare quei bambini che, sapendo di fare un dispetto, in presenza di molti adulti si esprimono così per il gusto di sconvolgere le regole.

L’era dell’intellettuale che vuole ‘épater les bourgeois’ con il turpiloquio è sorpassata da tempo.

I borghesi vanno sconvolti, ma con altre armi.

 

Enrico Redaelli per GlobalStorytelling