MTM Teatro Leonardo presenta MACBETH INFERNO di e con Corrado d’Elia di scena dal 23 ottobre

9 Ott, 2025

Lo spettacolo è un viaggio teatrale nell’incubo.

Una discesa nella parte più oscura e perturbante del capolavoro shakespeariano. Non si tratta di una messinscena tradizionale, né di un adattamento narrativo: in scena non c’è propriamente la tragedia shakespeariana, ma il suo sogno più nero, la notte più lunga, il rituale che lo possiede. La trama viene svuotata. I legami causali si spezzano. Le psicologie si dissolvono come fumo. Resta la carne. Resta il sangue. Resta il sortilegio.

Macbeth è un uomo intrappolato in un sogno dal quale non riesce a svegliarsi. Tutto intorno a lui si muove come in un delirio: figure oscure, luci improvvise, voci lontane, sussurri, risate che escono dal buio. Gli incubi si fanno corpo, gesto, danza. Il tempo si deforma, si avvita su sé stesso, si ripete. Non c’è più azione, solo trance. Macbeth non è più protagonista: è un iniziato, una vittima sacrificale, un corpo smarrito che attraversa uno spazio che non è più reale, ma simbolico, rituale, ancestrale.

È entrato in un tempo altro, in un luogo dove la colpa non nasce dalla scelta, ma dal destino. È una pedina in un gioco già scritto. In questo mondo irreale ma potentissimo, domina la figura di Lady Macbeth. Non è solo complice, ma guida.

È sacerdotessa, strega, madre arcaica. È la vera burattinaia, la regina delle ombre. Lei evoca, possiede, consacra.

Macbeth è solo il suo strumento, il suo figlio/amante sacrificale, un corpo offerto al rito.

Ogni scena è un cerchio magico, un passaggio di dannazione. Il testo si fa liturgia. Le parole diventano invocazioni. I gesti, preghiere rovesciate. La luce è un sigillo.
Siamo in un teatro alchemico e visionario, dove tutto si fonde: insieme parola, corpo, immagine, suono. Un teatro della trance, dove il gesto si ripete come in una danza rituale, e il corpo diventa veicolo di possessione: epilettico, ossesso, tarantolato.

Il suono è la chiave d’ingresso: rumori, ruggiti, eco distorte, musiche ancestrali guidano lo spettatore in uno spazio interiore che è anche spazio di dannazione.
Lo spettatore non guarda: attraversa. È immerso in un’esperienza onirica, sacrale e perturbante. Non assiste a un dramma, ma partecipa a un sabba. Sente il battito del suo cuore, vede lo spettro della sua colpa.

In questo Macbeth, non c’è morale. Non c’è redenzione. C’è solo un destino che si compie. È solo un rito che brucia. Un teatro che non consola, ma sconvolge.