Nella terza e ultima stagione di Squid Game, ritroviamo Gi-hun (Lee Jung-jae) dopo che ha perso il suo miglior amico nel gioco ed è stato portato alla completa disperazione dal Front Man (Lee Byung-hun), che ha nascosto la sua vera identità per infiltrarsi nel gioco. Gi-hun non demorde nel suo obiettivo di porre fine ai giochi, mentre il Front Man prosegue con la sua prossima mossa e le scelte dei giocatori sopravvissuti causano gravi conseguenze a ogni round.
La seconda stagione era stata molto divisiva. Alcuni spettatori hanno apprezzato il format che andava a ripetersi con nuovi sadici giochi per sopravvivere e il finale aperto della prima stagione meritava forse una conclusione più netta ma dall’altra parte si è vista la ricerca di voler andare a ripetersi in maniera troppo simile a quello che era stato già visto andando così a mitigare il simbolismo e la critica sociale che con una magnifica stagione aveva colpito nel segno.
La terza stagione riprende esattamente da dove eravamo rimasti con la differenza che ormai i sopravvissuti sono sempre meno quindi anche il numero di morti e una maggior concentrazione sugli ultimi rimasti. Per compensare ecco che si aggiungono numerose sottotrame che si intrecciano portando avanti i giochi con l’avvicinarsi dei poliziotti tramite l’oceano e gli intrighi tra le guardie coinvolte nel traffico di organi. Tali divagazioni però risultano marginali, poco incisive e riempitivi perché non c’è un vero sviluppo di questi personaggi.
Tema centrale diventa la maternità infatti la puntata migliore è quella che porta alla nascita di un bambino proprio nel mezzo di uno dei giochi più massacranti. Da questo momento viene data nuova linfa alla serie legata alla sopravvivenza del nuovo arrivato ma anche del suo simbolo a livello politico e di umanità. Questo permette non solo di arrivare alla conclusione con nuovo vigore e interesse ma anche di aggiungere ai tanti temi coinvolti anche alcuni aspetti molto più maturi legati non solo alla propria sopravvivenza.
“Squid Game” rimane quindi simbolo di altro attraverso la violenza più estrema messa in scena in maniera da intrattenere il grande pubblico. Tutto quindi viene messo in gioco e tutto è lecito per sopravvivere non solo a livello fisico ma anche e soprattutto della propria anima. Lavorando quindi su aspetti molto moderni e di facile consumo, ecco che si parla di moralità, scelte legate all’empatia o al puro calcolo egoistico, strategia e cambi di prospettiva.
Sebbene gli aspetti riempitivi non hano un gran valore morale se non puramente narrativo legato alla vendetta o all’indagine di polizia, grazie all’aggiunta di un aspetto ben preciso quale la maternità, ecco che questa serie di episodi conclusivi trova la sua giusta motivazione d’essere.
Andrea Arcuri