“Fashion victims. L’ insostenibile realtà del fashion” è una riflessione semplice senza mai scadere nel semplicistico, un’ analisi profonda che non diventa mai pesante. Un racconto che ha per protagonisti due adolescenti che vivono agli antipodi del mondo, Milano e Dacca in Bangladesh.
Marco è un sedicenne figlio unico viziato e protetto. Mayma è una quattordicenne che aiuta come può la sua numerosa famiglia. Hanno gli stessi sogni e desideri, quelli che hanno tutti i ragazzi della loro età, ma sono distratti da pensieri che non potrebbero essere più distanti. Se Marco ha il problema di come vestirsi per fare colpo al suo primo appuntamento con la ragazzina che gli piace, Mayma sa di essere promessa sposa a chi nemmeno conosce ma intanto cuce tasche per otto ore al giorno in una fabbrica tessile. Lo fa da quando ha solo otto anni e questo destino così crudele le sembra paradossalmente quasi fortunato. Eppure, non c’è niente di normale se per produrre l’ ennesima maglietta che verrà venduta a pochi euro dall’ altra parte del mondo, si sfruttano esseri umani e li si priva anche dei più elementari diritti fino anche a non tutelarli dal punto di vista della loro sicurezza e incolumità fisica. Lo spettacolo, pensato essenzialmente per un pubblico giovanile, ha la capacità di agganciare anche gli spettatori più adulti in una disamina accurata che argomenta nel dettaglio mentre intrattiene. Teatro di denuncia che pone sotto i riflettori uno dei problemi più attuali della società dei consumi. Il fast fashion che, mentre fa arricchire sempre più i grandi gruppi commerciali, ammala il pianeta facendolo diventare una enorme discarica continuamente alimentata dagli acquisti stanchi e svogliati ma ben diretti da un marketing assillante di un Occidente miope che ha solo voglia di consumare per sentirsi più sicuro e vincente agli occhi di se stesso e del mondo intero. Metà mondo che compra senza sensi di colpa in una coazione a ripetere che mentre calma acuisce, nello stesso tempo, il desiderio di acquistare sempre qualcosa in più. Quantità che non viaggia mai in parallelo con la qualità. Ci si assolve in massa perché ci si dice che siamo gocce in mezzo ad un mare. Invece, lo spettacolo che ha un finale a sorpresa e coinvolge una coppia di spettatori, ha l’ obiettivo di fare comprendere come le scelte di ognuno siano proprio la chiave di volta per scardinare un sistema sbagliato ed iniquo. Sul palco i due giovani attori, con molta naturalezza, raccontano una storia di ragazzi come ce ne sono a milioni nel mondo e spronano a riflettere sulla china pericolosa che ha preso il nostro pianeta. “Meno ma più consapevole” sembra essere il motto che può salvarci. Interrompere un meccanismo pavloviano di premio e ricompensa che finisce per non fare più apprezzare niente.
In un’ afosa serata estiva milanese il Teatro del Buratto mette in scena uno spettacolo intelligente che colpisce per la sua linearità e ha il pregio di alimentare un esame collettivo di coscienza che non può fare che bene.
Virna Castiglioni per Global Story Telling