La storia, liberamente ispirata alla graphic novel del 2018 realizzata da Simon Stålenhag, racconta la storia di una ragazza (Millie Bobby Brown) che, insieme ad una simpatica canaglia (Chris Pratt), deciderà di attraversare l’Ovest Americano di un mondo post-apocalittico dominato dai robot per ritrovare il fratellino scomparso.
Mettere insieme alcune facce note di attori in voga e messi nei ruoli giusti, prevedibili nei risvolti e classici nelle loro caratteristiche. Ci si aggiunge un mondo post-apocalittico in disgrazia così da avere la giusta motivazione per creare set steam-punk futuristici e fantasiosi. Circondiamo i nostri attori di robot fantasiosi, simpatici e rassicuranti tanto piacevoli quanto pieni di battute simpatiche quando serve o pronti a elargire discorsi motivazionali….tutto viene unito nel modo e nei toni giusti, tutto si combina alla perfezione e in modo calcolato senza sbavature o momenti davvero originali.
Manca ancora qualche ingrediente però: la durata del film si divide tra i classici momenti action, tantissimi spiegoni (unendoli tutti si potrebbe superare con tranquillità la età del film) e i vari primi piani degli attori protagonisti sempre inquadrati in modo impeccabili nel voler far esaltare le loro caratteristiche scelte per il film (le battute sulla capigliatura di Chris Pratt riempiono circa 10 minuti).
Certo il potenziale è presente e anche attuale su come la tecnologia abbia preso il sopravvento su di noi e quel senso di ribellione nel ribaltare una situazione di oppressione ma tale morale non possiamo dire essere una metafora perché è talmente smaccata e stucchevole che diventa banale perdendo di efficacia.
Rimane alla fine e lo stile dei fratelli Russo che forse davanti a questo ennesimo tonfo creativo (The Gray Man sempre disponibile su Netflix ma anche una serie su un altro canale streaming non convince del tutto) vanno a dimostrano che dietro a loro successo c’è una formula che va bene se proposta un paio di volte ma poi perde d’efficacia. Questo accade perché andando proprio a doversi/volersi adattare ad un modello mainstream i registi Joe e Anthony vanno a sottostimare e semplificare il materiale di partenza dell’autore Simon Stålenhag che era qualcosa di cupo e nichilista, trasformandolo in un prodotto asettico di emozioni ma sovrabbondante di ispirazioni a prodotti di altri e voglia di stupire gli occhi e non graffiare davvero.
Andrea Arcuri