Giappone medievale, periodo Muromachi (1336-1573). Inu-oh è un artista antesignano del moderno teatro noh, nato con caratteristiche fisiche anomale. Tomona è un monaco suonatore di biwa, vittima di una maledizione che lo ha reso orfano di padre e cieco. I due si incontrano nella capitale e iniziano a esibirsi insieme. Con i loro spettacoli infrangono le regole delle arti tradizionali e diventano le pop star di una nuova era e in breve tempo le folle impazziscono per loro. Cosa sarebbe successo se l’hip-hop, la musica rock e i febbrili festival musicali all’aperto fossero esistiti nel Giappone del XIV secolo?
Il lungometraggio è uno straordinario esempio di un certo tipo di storia perduta perché legata alla tradizione e raccontata con uno stile grafico d’altri tempi. Ne viene fuori un’opera estrema quasi anarchica nelle sue raffigurazioni estroso in linea con quello che pensano i due protagonisti in contrasto con la tradizione nel Giappone del XIV secolo. Vediamo così corpi filiformi e volutamente disturbanti che vanno ad unire un‘animazione classica contaminata da uno stile pittorico.
Emozionante e visivamente pieno di spunti interessanti si assiste ad una storia che spesso si racconta in maniera implicita richiedendo al pubblico di fare un grosso sforzo per capire certe situazioni anche perché spesso la trama non ha un senso coerente soprattutto nella seconda parte quando sembra più assomigliare ad un musical che si prefigge il compito di trasmettere sensazioni visive e d’intenti.
Cosi facendo alla fine ne emerge un surreale ma molto interessante esempio di esplorazione estetica e messa in scena di un racconto popolare che riesce ad essere anche una bella analisi sociale su quello che accade quando due ragazzi vanno contro le tradizioni. C’è da precisare che tale analisi viene solo accennata attraverso un paio di scene precise e circoscritte e in tal senso l’opera lascia troppo in sospeso dedicandogli troppo poco tempo a certi discorsi decisamente importanti.
Andrea Arcuri