“Sono venuta a picchiare una ragazza”.
Non è la frase d’esordio del libro, ma ne è il senso. L’affermazione viene fatta da una quattordicenne con una tale assertività e un’immediatezza che vanno in assoluto contrasto con il vuoto interiore che contraddistingue spesso e volentieri la generazione adolescente.
Chi parla NON SA perché deve picchiare e NON SA soprattutto chi è la persona destinataria di tale trattamento. Agisce secondo una logica che in apparenza non ha bisogno di determinate precisazioni. Agisce per dare riscontro a chi, all’interno della comunità dei ragazzi, possiede quel carisma che esprime frasi e comandi paragonabili ad un postulato: si devono accettare per come sono senza pretendere una spiegazione.
La storia potrebbe essere già stata ascoltata in altre occasioni, ma anche uno degli strilli in quarta di copertina che paragona la vicenda di questo libro alla storia di “A sangue freddo”, lascia capire che si è di fronte a qualcosa di nuovo. Nel famoso romanzo di Truman Capote non solo si accennava ad un truce delitto, ma si metteva in evidenza un particolare legame tra l’autore e due persone sospettate di quanto accaduto. Anche “La notte rossa” è una non-fiction che ha il merito di essere scritta come se la trama fosse frutto di pura invenzione. Questo porta al risultato di non sentire certe lentezze o certe cadute di suspense che a volte possono capitare all’interno di un reportage. L’autrice è appena presente nel dossier fotografico allegato al volume e nella prosa della sua opera non si sente (grosso pregio) la presenza fisica della sua penna o della sua persona.
Sembra quindi una creazione quando invece le pagine sono conseguenza di accurate indagini, raccolta di testimonianze e dati relativi ad un fatto realmente accaduto nel 1997.
Sono passati quasi trent’anni da quegli accadimenti.
Anche se ne “La notte rossa” ci troviamo ad altre latitudini, incoscienza e disagio giovanile sono elementi trasversali riscontrabili in tutto il mondo occidentale. Sono le difficoltà con cui i ragazzi del mondo occidentale si approcciano al #mestiere_di_vivere a cambiare da zona a zona.
La lettura è fluida, il racconto di tutto l’insieme è curato in modo tale da coinvolgere concretamente chi legge.
Non ci sono intenti didascalici o moralismi. Si vuole (e lo si fa bene) divulgare un’articolata testimonianza di un fatto di cronaca, nella speranza che da quanto narrato non si tragga esempio in negativo.
Enrico Redaelli per GlobalStorytelling