“ Black Bits ” – Recensione in Anteprima. Al cinema dal 3 Agosto 2023

30 Lug, 2023

Raggirare e derubare la Black Bits, società attiva nel dark web, sembrava un’impresa impossibile che Dora e Beth hanno però portato a termine. Adesso sono in possesso di due neurochip di ultima generazione dall’inestimabile valore e si nascondono in una futuristica ‘Safe House’ lontana dal resto del mondo. Tuttavia, la meritata tranquillità viene stravolta da strani eventi e da una presenza umana inaspettata, un uomo che non rientra affatto nei loro piani. Chi è veramente? E che cosa vuole da loro? Le due ragazze devono guardarsi le spalle e prepararsi al peggio. La realtà che le circonda è più pericolosa di quanto immaginano e niente è come sembra…

La storia e le motivazioni di questo contesto ipertecnologico non viene del tutto spiegata cosi come anche le motivazioni di Dora e Beth e alcuni passaggi. Bisogna quindi fare un grosso lavoro di immaginazione per immergersi totalmente in questo contesto che vede portare avanti una storia thriller ma che rischia di lasciare il pubblico privo di quei fondamentali aspetti su cui basare la proprie convinzioni.

La vita reale si fonde con quella virtuale e definire i confini diventa così arduo ma allo stesso tempo affascinante. Allora si che riuscendo a lasciarsi alle spalle limiti e costrizioni della logica e del contesto spiegato, “Black Bits” si colloca nel creare qualcosa di utopistico e nella metafora di cosa potremmo diventare con lo sviluppo di una tecnologia neuronale e i suoi potenziali pericolosi di sfruttamento. 

A livello estetico nulla viene lasciato al caso e sia le interpretazioni dei protagonisti, sia l’ambientazione e il budget vengono sfruttati appieno grazie al fatto che Liguori si immerge perfettamente nel bosco e lascia il pubblico in balia di un’ansia opprimente nonostante questo vasto scenario. Il voyeurismo s’insinua nei momenti intimi in cui le ragazze si concedono nella Safe House ma diventa legame e forte empatia verso le loro sorti quando inizia il pericolo. 

La tensione e il mistero crescono in una spirale che tiene saldo l’interesse e quello che non viene detto e spiegato passa in secondo piano perché, senza che ce ne accorgiamo, siamo ormai alla fine e i vari twist finali lasciano alla fine qualcosa di convincente.

Stiamo parlando di un modo di fare cinema che purtroppo manca in Italia perché non si ha il coraggio di esplorare stili differenti troppo legati a canoni classici. Nonostante imperfezioni quali ad esempio una storia poco sviluppata e dei personaggi che in meno di 90 minuti non hanno il tempo di farsi conoscere, Alessio Liguori ci regala qualcosa che brilla in un panorama stantio e che andrebbe valorizzato e divulgato meglio.

 Andrea Arcuri