“ Tre di Troppo ”. Recensione. In Premiere dal 9 al 15 Giugno su Infinity+

9 Giu, 2023

Marco e Giulia sono passionali, in forma, alla moda e soprattutto senza figli. Per loro la vita di coppia può essere vissuta in due modi: all’Inferno con bambini pestiferi, o in Paradiso, dove le coppie senza figli si godono le giornate in pace. Un maleficio lanciato da una madre stanca della superficialità con cui Marco (De Luigi) e Giulia (Raffaele) affrontano la genitorialità del loro gruppo di amici, decisa perciò a dar loro una lezione, facendoli svegliare l’indomani con tre piccoli pargoli bisognosi di cure e di affetto. Ma soprattutto di una costante presenza e di mille attenzioni, quelle che il duo non potrà più concedere a se stesso, capendo realmente cosa significa ricoprire il ruolo dei genitori e smettendo forse di criticare e giudicare un universo familiare che saranno costretti ad affrontare in prima persona. 

La pellicola di Fabio De Luigi, qui in veste di regista e attore, risulta essere il classico esempio di un cinema per famiglie raccontando una storia semplice ma piena di sentimenti e qualche siparietto simpatico. Siamo sicuramente nel campo del prevedibile senza tante sorprese a livello narrativo, il film procede su binari classici e ben riconoscibili per gli spettatori fidelizzati alla comicità Italiana dove si va a rincorrere le gag invece di incastrarle in maniera coerente nella storia . Tutto procede come ce lo aspettiamo e sembrerebbe, ad una prima visione, non esserci nessuna vera presa di posizione nei confronti di voler essere genitori, “Tre di Troppo” cerca un proprio equilibrio ma cosi facendo si adagia in un limbo poco coraggioso per un finale buonista e conciliatorio.

Il film cerca di mettere in mostra la forza degli attori Fabio De Luigi e Virginia Raffaele che sono sicuramente tra i massimi esponenti di questo genere. La loro chimica sullo schermo è ottima ma il film non sfrutta appieno le loro potenzialità e doti comiche forse perché costrette in un prodotto per famiglie e dove in alcuni passaggi si sente qualche inciampo a livello di sceneggiatura. Dispiace che alcuni aspetti risultano troppo superficiali, abbozzati o stereotipati e tutto questo porta ad una spaccatura, e in effetti messa in scena di alcuni aspetti ben delineati ma decisamente riduttivi e poco realistici. Chi ha figli e possiede un senso genitoriale viene descritto come “buono” perché è giusto avere tutto questo ma disperato e privo di un minimo di vita sociale perché troppo assoggettato al ruolo di genitore; chi invece non possiede quel senso materno/paterno viene messo in scena come pieno di vita, egocentrico, dedito al divertimento e poco serio, privo di maturità e raffigurato come il “cattivo” della situazione. 

Certamente il film non può risolvere tale spinoso problema riguardo a volere o meno figli nella propria vita di coppia e non si può neanche pretendere che vengano messe in scena tutte le situazioni possibili che si presentano con i figli. Il film ne descrive solo alcune, giusto per dare un’idea e sempre cercando di puntare sul lato comico della situazione. Solo che il ruolo di un film, per potersi elevare e non rischiare di passare totalmente inosservato e facilmente dimenticabile, dovrebbe essere quello di dare una morale senza per forza “puntare il dito” essendo così inquisitorio e affrontando una dimensione, quella dell’essere genitore, con poco tatto e tutta dedita alle situazioni assurde.

Alla fine però “Tre di Troppo” ha ben chiaro la sua dimensione e quello che vuole essere. Perché funziona quando viene si affida ai buoni propositi e alla parte più legata alle interpretazioni e all’alchimia tra Fabio De Luigi e Virginia Raffaele, bravi sia nella parte più comica tra battute e fisicità sia quando è il momento di affrontare i propri sentimenti e portare il pubblico nel trasporto emozionale ed empatico senza scadere mai nello stucchevole o troppo drammatiche. Bisogna quindi prendere il film come dedita ad accettare i cambiamenti che parlano di accettare e accogliere una personale maturazione che poi spesso passa (non per forza) attraverso l’essere genitori .


Andrea Arcuri