“Windfall” – Recensione. Disponibile su Netflix dal 18 Marzo 2022
Un uomo irrompe nella casa vacanze vuota di un miliardario, ma le cose si mettono male per lui quando l’arrogante magnate e sua moglie arrivano per una visita dell’ultimo minuto.
Stile e cadenza si rifanno al grande Hitchcock con l’aggiunta di una storia estremamente semplice e pochissimi attori in scena. Quello che rimane dopo la visione del film è il piacere di aver visto l’attore Jesse Plemons in un ruolo da protagonista dopo tante partecipazioni in secondo piano e Jason Segel, solitamente abbonato a ruoli comici, in una veste completamente nuova. Si capisce così da subito che è un film basato sulle interpretazioni fatto di lunghi dialoghi a volte pieni di lezioni morali e prese di posizione.
Potrebbe sembrare una contraddizione ma è un tipo di cinema perché, per quanto spoglio da tante componenti superflue, rimane ostico e difficile da seguire e apprezzare fino in fondo. Non siamo abituati ad un cinema così diretto che ha bisogno da parte del pubblico di compromettersi per una maggior empatia con i punti di vista dei personaggi. La storia è semplice e nulla che viene messo in scena è inutile o superfluo mentre i suoi personaggi hanno precise e ben contenute caratteristiche proprie ma dove nessuno è totalmente colpevole o innocente. Anche la parte scenica è ridotta al midollo perché i contesti in cui si aggirano i nostri protagonisti sono l’interno della casa e il suo esterno lungo la piscina e alcuni viali alberati nella tenuta.
Il film infine cerca di tenere alta l’attenzione con una sorta di mistero legato alle motivazioni che spingono il malvivente ad entrare proprio in quella casa e prendere di mira la coppia di ricchi. Allo stesso tempo i proprietari hanno dei segreti legati al loro lavoro e la provenienza dei soldi. Tale gioco regge bene perché i vari attori si dividono la scena equamente e ognuno ha la possibilità di brillare con monologhi che incuriosicino e lasciano parecchi dubbi. In aggiunta a tutto questo, “il gioco” non viene portato avanti con troppe lungaggini e solo piccoli inserimenti narrativi smuovono quanto basta per arrivare fino alla fine.
Andrea Arcuri