Un cazzo ebreo – Katharina Volckmer. Recensione

27 Gen, 2021

Un cazzo ebreo – Katharina Volckmer. Recensione

Divertente… Strafottente… Trasgressivo…

Ah sì??

Aggettivi simili ai tre che ho scritto all’inizio compaiono sulla quarta di copertina a sottolineare il carattere innovativo di quest’opera. Devo dirla tutta? Questo libro mi ha lasciato abbastanza indifferente, come se fosse stato un po’ costruito apposta a tavolino per creare il ‘caso letterario’ dell’anno.

Non sono quel tipo di recensore ‘bacchettone’ o ‘parruccone’ che si scandalizza di fronte a qualcosa di anomalo. Mi piacciono le storie che stravolgono la morale, che lasciano un segno, che ‘strappano’. Ma mi piacciono nel momento in cui, tolta la facciata, si scopre un impianto costruito con una specifica vena di satira ed ironia.

“Un cazzo ebreo” invece mi sembra che, al di là del fumo colorato che promana dal suo involucro, offra davvero poco. La storia altro non è che un lungo monologo/soliloquio espresso da una giovane donna (che non so perché, dalla lettura mi è parsa più attempata) mentre si trova a fare una visita da un dottore.

Ho visto che in molti hanno parlato di flusso di coscienza ad alta voce, ma la punteggiatura (spesso assente nei casi più classici di stream of consciousness) è ben presente a cadenzare il discorso. Semmai il testo risulta ricco di anacoluti, tipica struttura del parlato nella quale spesso si creano due soggetti paralleli nella stessa frase.

Questo lungo sproloquiare della protagonista alla lunga distrae, fa perdere quel senso di comicità che l’autrice voleva infondere alla sua trama. Anzi, arriva persino ad annacquarlo. Nonostante la brevità del testo, si percepisce un senso di prolissità che di sicuro non depone a favore.

E anche il finale, che dovrebbe sconvolgere e creare un corto circuito improvviso, risulta simile a un fuoco d’artificio nemmeno un po’ colorato.

L’eroina del romanzo, che vorrebbe rappresentare qualcosa di nuovo, qualcosa che sta sopra le righe, appare come un essere petulante e noioso. E pure verboso, visto quanto parla.

Peccato, perché l’aspettativa era tanta. A monte era promessa molta audacia, ma alla fine questo intento è rimasto incastrato nell’inchiostro della penna.

 

Enrico Redaelli per GlobalStorytelling